martedì 13 gennaio 2009

Una prima, vera vittoria

dal Blog di Stefano Montanari pubblichiamo

Una prima, vera vittoria PDF Stampa E-mail
Scritto da Antonietta M. Gatti
sabato 03 gennaio 2009

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di Antonietta M. Gatti

Qualche giorno fa il ministro Ignazio La Russa in una conferenza stampa ha informato di aver stanziato 30 milioni di Euro per risarcire i soldati che si sono ammalati dopo le missioni in zone belliche o in poligoni di terra e per svolgere ricerche nel settore (http://lanuovasardegna.repubblica.it/dettaglio/Il-ministro-La-Russa-ammette:-%C2%ABL-uranio-uccide%C2%BB/1567518?edizione=EdRegionale).


Si è ufficialmente riconosciuto che questi soldati sono stati esposti “all’Uranio impoverito ed alle nanoparticelle”. Il ministro della Difesa ha riconosciuto che i soldati si sono ammalati dopo aver subito un’esposizione a quello che io ho chiamato inquinamento bellico.


Il lavoro che ho svolto nelle Commissioni della XIV e XV legislatura insieme ad altri è stato riconosciuto come valido ed è stato accettato il concetto che le esplosioni di bombe ad alta tecnologia (Uranio impoverito ma anche al Tungsteno) creano temperature di combustione molto elevate (> 3.000°C) che aerosolizzano tutta la materia del bersaglio, creando poi polveri di dimensioni anche submicroniche (nano) che possono venire inalate o ingerite con cibo contaminato da questo inquinamento. Gli esperimenti che ho fatto a Baghdad hanno confermato la creazione di nanoparticelle anche dopo l’esplosione di ingenti accumuli di bombe tradizionali.


I soldati e/o le loro famiglie verranno quindi risarciti per queste patologie contratte sul luogo di lavoro. E’ stato poi riconosciuto che anche nei poligoni di tiro ci si può ammalare per le stesse ragioni.


A mio parere i giornali hanno riportato la notizia in maniera frettolosa. Nessun

giornalista ha speso qualche parola in più per commentare la notizia e le sue implicazioni.


Ciò che hanno fatto il ministro La Russa ed il suo entourage è qualcosa che va ben al di là del mero compenso economico. Ha ridato una dignità a questi soldati, cosa che non ha valore venale.


In pratica si è ammesso che ci sono proiettili invisibili che uccidono anche in modo ritardato e che quindi il soldato che si è ammalato in patria è un eroe al pari di chi è morto in un attentato o colpito da un proiettile in zona operativa. Il nostro governo ha riconosciuto che anche questi ragazzi, morti fra mille sofferenze in un letto d’ospedale, hanno servito il proprio paese in modo esemplare fino all’ultimo e non sono diversi di chi ha lasciato la vita per una bomba o un proiettile in Iraq, in Afghanistan o nei Balcani.


L’inquinamento bellico crea nanopolveri che sono proiettili invisibili e questi non hanno confini. A mio parere, a differenza dei proiettili convenzionali, queste nanoparticelle sono molto democratiche, dato che colpiscono tutti indifferentemente, anche colui che ha buttato le bombe dalla cui combustione queste hanno avuto origine. Ovviamente le nanoparticelle creano un inquinamento ambientale a cui sono esposti anche i civili che vivono nella zona, ma che può influire in modo profondo anche sulla fauna e sulla flora.
Si è finalmente ammesso che le patologie sviluppatesi in seguito alle missioni in zone di guerra in soldati che erano risultati idonei dal punto di vista medico non sono solo psicologiche come era stato ipotizzato: da stress.


A questa conclusione sono arrivati anche gli Americani in un rapporto del novembre scorso, le associazioni dei veterani hanno ammesso che lo stress può essere una concausa ma che le patologie sono altro. Primariamente, visto che i reduci della prima Guerra del Golfo accusavano sintomi anche neurologici, i medici avevano pensato che lo stress bellico fosse la causa primaria della sintomatologia. Ora si riconosce che i soldati sono affetti da una diversa patologia che per la sua complessità è stata chiamata sindrome, cioè un insieme di sintomi e segni clinici diversi. La sindrome del Golfo è diversa da quella dei Balcani, ma entrambe possono portare, anche in tempi lunghi, alla morte.

Ho lottato perché venisse riconosciuto questo aspetto della guerra e per dare soprattutto a chi non c’è più (e ne ho conosciuto personalmente tanti) il giusto riconoscimento.

Se da una parte il mio impegno è stato riconosciuto e validato da persone autorevoli, dall’altra ci sono persone che stanno demolendo il mio lavoro con la calunnia e la diffamazione. Una tale dottoressa (di tutt’altro settore), che non ha mai esaminato un campione patologico, che non è mai stata al letto di morte di un soldato, che non ha mai consolato una madre che ha perso il figlio, scrive agli editori di riviste scientifiche che hanno accettato i miei lavori dopo parere favorevole dei referee, scrive alla comunità Europea chiedendo di non accettare più i miei articoli, e di chiudere i miei progetti europei che condivido con partner eccellenti europei. Questa scrive a miei amici, a miei parenti, a uffici governativi, mettendo il seme del dubbio sulla validità del mio operato, come se lei fosse la portatrice della verità. Io questa persona non l’ho mai incontrata né ho mai avuto alcun tipo di rapporto con lei, ma come si spiega che questa possiede un mio indirizzario personale? Ci sarà correlazione con lo scassinamento della mia scrivania personale all’Università o con il disinserimento dell’allarme antifurto in laboratorio? Lei sta lì a tavolino, nascosta nel suo studio universitario, nascosta da pseudonimi, ad inveire, calunniare su chi lavora in prima linea, a diffamare chi non conosce e che non le ha mai fatto alcun male. Perché? L’odio, l’astio, l’acredine, la frustrazione che traspare dai suoi scritti, fanno pensare che questa persona sia priva di pietà per chi soffre e muore. I ragazzi non sarebbero mai stati risarciti col lavoro scientifico di questa signorina. Quello che mi spaventa è che questa persona insegna a studenti che devono essere formati. Che cosa insegnerà loro se non l’odio, l’acredine, l’astio?

Io preferisco lavorare per costruire un futuro migliore ai nostri figli ed insegnare loro la pietà.


Pubblico integralmente questo articolo. Ricordo, se non altro per evitare ai soliti personaggi il disturbo d’inventare nuove calunnie, che la dott.ssa Gatti (mia moglie) presta da due legislature la sua opera presso la Commissione che si occupa delle malattie dei militari non solo a titolo gratuito ma a sue (nostre) spese. Chiunque è libero di fare altrettanto. Ricordo pure che, grazie anche al suo lavoro, l'Italia è oggi l'unico paese al mondo a fare tanto. Nessuno chiede una parola di ringraziamento. Sarebbe sufficiente il rispetto. (Stefano Montanari)

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